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Capire il Cuore di Gesù

Si dicono tante cose sul cuore di Cristo ! Una sola volta nel Vangelo, Gesù stesso ne parla:
“Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero." (Mt 11,28-31)

Mite e umile di cuore ! Non bisogna fraintendere. Colui che parla è il Signore che dichiara: “TUTTO mi è stato dato dal Padre mio. Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo” (Mt 11,27)
Gesù è dunque cosciente del suo potere; ma anche della sorgente di questo potere, e là sta la sua umiltà. Non nel timore di essere troppo debole, incapace, sopraffatto dagli eventi, ma nella riconoscenza del Padre che gli dà tutto.

Così, la sua mitezza non ha niente a che fare con la svenevolezza o il sentimentalismo.
Essere capace di dire: “Venite TUTTI a Me ” suppone una considerevole capacità di accoglienza e anche una forte coscienza delle sue proprie possibilità: “Io, vi darò ristoro !” In verità, la mitezza di questo cuore è di una forza straordinaria ! Chi dunque sarebbe capace di non escludere nessuno e di promettere ad ognuno il riposo delle sue pene, delle sue angosce più profonde?

Offrire a ciascuno un giogo “facile da portare” suppone una precisa conoscenza dell’altro, un gran rispetto per le sue forze e le sue debolezze. Quelli che hanno vissuto o viaggiato in Oriente si ricorderanno di aver visto quei pezzi di legno che, posati con precisione sulle spalle, permettono di sollevare, senza grande sforzo, dei carichi troppo pesanti per le braccia. Il “Figlio del falegname” doveva aver visto da vicino gioghi fatti male, troppo pesanti, troppo lunghi o non aggiustati bene, ferire le spalle; doveva lavorare su misura !

Se Gesù intende dire con “MITE E UMILE DI CUORE” : rilegare al Padre suo in piena coscienza di chi gli sta di fronte e aperto agli uomini in piena conoscenza di quello che sono realmente, allora, in effetti, non è in un unico passaggio del Vangelo, ma attraverso tutto il Vangelo, che Egli ci lascia vedere il suo Cuore: in tutti i racconti di miracoli, dove mai Gesù si comporta da ciarlatano, ma incontra un altro essere umano nel più profondo di lui stesso, là dove può guarirlo, risuscitarlo, salvarlo; in tutti i dialoghi con le donne (o, scandalo, nella sua cultura! Che dimostra la sua incredibile libertà quando si tratta di amare); con vecchi (Nicodemo), con giovani (il giovane ricco), con peccatori (Zaccheo), con pagani (la siro-fenicea, che lo ha riempito di ammirazione).
Egli si adatta a ciascuno. Non mette su nessuno un fardello troppo pesante.
Conosce, perché lui stesso si sa conosciuto ed accetta di esserlo : _ “Mi compiaccio con te, o Padre, Signore del cielo e della terra, che hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai saggi e le hai rivelate ai semplici” (Si mette dunque tra i semplici?) “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre” (Mt 11,25-26); ma in risposta: “nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo” (vale a dire anche ai semplici, coloro che non credono di essere la propria propria sorgente ?).

Allora si capisce, alla luce di tanta tenerezza, di compassione attiva, di spiccata e creatrice attenzione, che Gesù abbia il diritto di dire: “Mettetevi alla mia scuola”. Una scuola dove prima, si trova “il riposo” - che per una scuola non è davvero frequente e che non significa pertanto noncuranza, al contrario ! Una scuola dove si impara a percepirsi se stessi figli di Dio, amati personalmente, là dove ci troviamo, non senza il proprio fardello, ma istruiti nel portarlo in modo leggero.

Si, è una buona scuola, una scuola attraente. Ma che non è priva di una certa disciplina (disciplina che fa ‘discepolo’):
bisognerà prima aprire gli occhi, come lo ha fatto Gesù, sopra tutta la sofferenza umana, incominciando dalla più vicina (e cioè quella che più mi minaccia), senza paura, senza distogliere lo sguardo nel timore di non saper rispondere, di non aver, davanti a tanto dolore, le risorse interne sufficienti. Perché l’altro aspetto della disciplina è proprio di mantenere il contatto con la sorgente: “La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato”(Gv. 7,16). “E’ sempre con me, perché faccio sempre la sua volontà” .
E’ questo contatto che ci rende coscienti e forti, poiché tutta la forza di amare ci viene dal essere amati dal Padre; ed è anche là che troviamo questa conoscenza amorevole degli altri che ci permette di offrire a ciascuno esattamente ciò che ha bisogno: non un giogo fatto in serie - come facciamo così facilmente imponendo delle regole preconfezionate, anche se morali - ma “facile da portare”, perché ben adattato alla persona e al suo fardello.

E’ questa attenzione all’altro, questa forza d’accoglienza: “Venite tutti!” e tutta questa creatività che non teme di essere schiacciata dai fardelli degli altri: “Io rifarò le vostre forze", che definisce il CUORE di Gesù.
Un tal cuore, così aperto a Dio che si sente UNO con Lui, così aperto agli uomini che può accoglierli tutti, si capisce che sia diventato attraverso la storia dei cristiani, e cioè della Chiesa, il simbolo della più perfetta “relazione” d’amore (e dunque anche del desiderio più profondo dell’uomo).


crocifissione etiopiana
crocifissione etiopiana

In fondo, le nostre raffigurazioni, a volte così misere, desideravano esprimere questa relazione d’amore, “Sacro Cuori” dipinti o scolpiti, rappresentati col petto aperto, feriti, o cuori sormontati da fiamme, ecc : era un modo per dire che quel cuore non si chiude per nessuno, che rimane aperto qualunque cosa accada !

Ed ecco la spiegazione della potenza del testo, pur misterioso, di Gv 19,34 dove il costato trafitto da un gesto violento e aggressivo, risponde offrendo “subito”, senza reticenza, le ultime gocce di vita che racchiudeva.

Qui, Gesù non ha più bisogno di parole per comunicarsi: è lo sguardo contemplativo che riconosce il suo Signore: “Guarderanno a Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37) e si sente spinto da lui a dare la sua vita a sua volta “per la moltitudine” (Mc 14,24).

Un’antica tradizione cristiana vede, in quel preciso momento, quando il cuore di Cristo è stato trafitto, la nascita mistica della Chiesa.

Nei tempi presenti, dove tanti uomini e donne si piegano sotto ad un fardello troppo pesante, dove la capacità di rapporto gratuito e profondo è allo stesso tempo così raro e così valorizzato, questi tempi che viviamo sono particolarmente atti a riscoprire il messaggio di Gesù in tutto il suo dinamismo:

  • solo l’amore può sollevare fardelli, senza di lui troppo pesanti;
  • non siamo bambini persi in un mondo rotto, ma figli e figlie amati, conosciuti, riconosciuti da un amore personale;
  • se accettiamo questo giogo “facile da portare” dell’amore di Cristo, troveremo il riposo del nostro "io" il più profondo, e saremo capaci a nostra volta di alleviare il fardello degli altri.

Si, i nostri tempi hanno un gran bisogno ed una grande sete di sentire questo messaggio. Ma chi lo porterà? Non è attraverso le parole che si comunica - e ancora meno alla nostra epoca, dove evolve così velocemente il vocabolario, dove il linguaggio è sottomesso di continuo al sospetto.
Passerà solo attraverso ciascuno di coloro che hanno deciso di mettere il proprio cuore a questa scuola, di lasciarlo diventare poco a poco come quello di Gesù, “mite e umile” in verità, con tutta la forza, tutta la verità, della propria coscienza di figlio e fratello universale.

Françoise Cassiers, rscj
Testo pubblicato nella rivista "Bonne Nouvelle n. 17 - 1981"

 
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